È la rivincita degli antichi arredi, quelli rustici in arte povera principalmente, che annessi a un’esperienza commerciale protratta per almeno cinquant’anni rendono le botteghe storiche il fiore all’occhiello di un luogo e lo assurgono ad attrattiva. A fine febbraio di quest’anno in provincia di Trento se ne contano 579 (fa fede l’albo ufficiale, non quello informatizzato), un numero parziale ma bastevole a ricalcare il nerbo di un ventaglio di tradizioni sedimentate in questa terra di confine, dovendosi ragionevolmente attendere ulteriori domande di riconoscimento a spron battuto. Lo status di “Bottega Storica Trentina” rappresenta un valore aggiunto a costo zero ma al contempo vincola al mantenimento delle caratteristiche morfologiche di insegne, vetrine, ornamenti e suppellettili. La nostra Provincia le ha introdotte nel 2010. Due sono i requisiti per inoltrare domanda di iscrizione:
un minimo di cinquant’anni di attività negli stessi locali e nello stesso settore merceologico o affini e la concomitante presenza nei locali e negli arredi di elementi, strutture, attrezzature e documenti di particolare interesse storico, artistico, architettonico, ambientale e culturale o significativi per la tradizione e la cultura locale, visibili al pubblico.
Ai destinatari della qualifica, rigorosamente esercizi del commercio, pubblici esercizi e imprese artigiane, una doppia utilità: di immagine, godendo il privilegio di esporre una targa distintiva, ed economico attingendo ad una maggiorazione del 3% sui contributi erogati per rinnovo, ristrutturazione e acquisto attrezzature. Nessuna agevolazione tributaria, invece, è concessa. Un riconoscimento al coraggio, insomma, non essendo da tutti custodire la propria identità in condizioni aleatorie e altalenanti di mercato al minuto. Resta il fatto che per Ermanno Sartori, segretario dell’Associazione dei commercianti al dettaglio aderente a Confcommercio, molti piccoli Comuni non sono a conoscenza di questo prestigioso riconoscimento. “Manca un’informazione capillare sul territorio”, spiega Sartori. “Dove è saltato il recepimento della delibera le municipalità si prestano ad essere terreno fertile per le società di consulenza”. Perché, va detto, l’istanza di iscrizione all’albo è presentata alla struttura provinciale deputata in materia di commercio previa acquisizione di una valutazione del comune territorialmente competente; per redigerla l’amministrazione si avvale del contributo, a titolo oneroso, di esperti oppure istituisce appositi organo collegiali. Amministrazioni comunali come Rovereto hanno provveduto a una mappatura delle botteghe storiche demandando poi all’iniziativa privata, mentre altre come Trento e Tione hanno optato per la consulenza. I comuni trentini che vantano botteghe storiche sono 49 su 217 ma il dato, ovviamente, è in continuo aggiornamento. Altissime le concentrazioni medie registrate nelle valli di Fiemme e di Fassa, a prova della loro intrinseca vocazione turistica; poco probabile eguagliare quella di Avio (1 bottega ogni 260 abitanti) o contendere con i 1.400 abitanti di Castello Tesino fasciati gelosamente alle loro 17 botteghe. Con un pugno di mosche comuni medi del calibro di Aldeno e Zambana o pochi altri paesi agli angoli del Trentino. E in tutta la valle dei Laghi sono solo due - a Monte Terlago e Padergnone - le botteghe iscritte all'albo provinciale. Osservando i dati, dopo un preludio a singhiozzo, il boom di iscrizioni è avvenuto l’anno scorso e le botteghe sono quasi raddoppiate in dieci mesi: “Se pensiamo che Roma ne ha 140 siamo sulla buona strada”, sorride una funzionaria dell'Associazione dei commercianti. Ed è la strada che hanno imboccato specialmente quei minuscoli comuni periferici dove, afferma Sartori, “la bottega storica diventa presidio del territorio per poter contrastare la desertificazione commerciale”. Ma come si spiega una distribuzione di “botteghe” così disomogenea sul territorio provinciale? “Strano che in alcuni paesi un po’ tutti gli esercizi si fregino di questo marchio”, risponde Sartori. “Va da sé che su questo proliferare nutriamo qualche riserva, forse non tutti sono riconosciuti secondo i crismi”. Il ricambio generazionale allora farà la differenza se, come evidenzia il rappresentante di Confcommercio, “chi guarda all’albo è solitamente la seconda generazione che si fa avanti per motivi di soddisfazione personale o di riconoscimento verso i predecessori”. Pacifico, è questa la prima condizione per fregiarsi del marchio storico.